Racconto (non breve) di Via Vinaria 2018

Nuovo articolo della rubrica “I Soci Raccontano”. La nostra socia e corsista Giulia, ci racconta la sua esperienza a ViaVinaria 2018 fra le Fattorie storiche di Montecarlo. Ho lasciato il racconto così com’è alla faccia di SEO (chi lavora nell’indicizzazione dei post sa di cosa parlo) perché non volevo togliere niente al romanticismo del racconto. 

E’ qui la festa?

Ed eccoci a maggio, il mio mese preferito per tanti buoni motivi: in primis, perché portatore della primavera, e dei primi canti dei grilli la sera, di qualche rara e timida lucciola che comincia a scintillare nei campi in collina, dei primi caldi che ci introdurranno all’estate; ma anche dei compleanni delle persone a me più care, e quindi di occasioni da festeggiare, di piccoli lunghi viaggi da compiere per celebrare cose e persone; quei viaggi dove il vino risulta grande complice di brindisi, ma allo stesso tempo si veste da protagonista e diventa il festeggiato…si, perché, tra tutti questi viaggi, ci sono anche quelli che ti portano dritto al cuore della festa, direttamente a casa del festeggiato in questione, il vino, che a maggio, trova alloggio nelle cantine aperte.

Vorrei iniziare questo viaggio proprio da Montecarlo di Lucca, zona doc a cavallo tra le province di Pistoia e Lucca, che occupa un posto importante nel mio cuore, in quanto luogo di tanti festeggiamenti, cin-cin, incontri, e non ultimo, posto di studi ed esperienze “vinaiole” importantissime per me, recentemente iniziate.

Montecarlo: regno anche delle uve francesi importate dal viticultore ottocentesco Giulio Magnani, che, partito in Francia per studiare i vitigni e le varie tecniche di vinificazione dei nostri amici francesi,  importò alcuni tra i più importanti, come i bordolesi Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, e il Merlot, il Syrah e il Roussanne dalla Valle del Rodano, e ancora il Pinot Grigio e il Pinot Bianco dalla Borgogna. Tutti vitigni che ritroverò “autoctonizzati” nelle bottiglie delle aziende che ho visitato lungo la Via Vinaria, e che rappresentano la varietà e la personalità dei vini di questa zona.

Partiamo da qui, dalla festa del vino di questo piccolo borgo-gioiello medioevale, il cui nome antico, Vivinaia, la dice lunga sulla sua storia, fortemente intrecciata con quella del suo vino.

Calice al collo, io e l’immancabile Martina inauguriamo il viaggio sul bus della linea Sauvignon, che insieme alle linee Syrah, Semillon, Merlot e Chardonnay ci scarrozzeranno su e giù per le fattorie che popolano le strade del borgo, alla scoperta di aziende che ci rivelano piacevoli sorprese.

Approdiamo, così, al Podere Sgretoli che ci fa entrare nel vivo della Doc di Montecarlo con degli assaggi che partono, in successione, da: un Montecarlo Bianco Doc 2017, un Montecarlo Rosso Doc 2016, e infine un notevole Eclissi Riserva del 2016, Igt che si presenta subito al naso con dei sentori di violetta, mentre, in bocca, svela subito la sua componente di Merlot, che avvolge il palato con il ribes e il mirtillo, insieme a note speziate e vegetali, che confermano in chiusura una buona struttura generale.

Fortificate da un ottimo tagliere di formaggi e salsicce fresche al tartufo, riprendiamo la nostra linea Sauvignon, scendendo ulteriormente verso la fattoria Badia a Pozzeveri, dove la gentilissima Anna Maria ci introduce subito nel clou dei loro cavalli di battaglia: un bel Discorsi, spumante Brut IGT 2017, metodo Classico, a base Trebbiano e Chardonnay, con Sauvignon e  Roussanne, che si fa bere volentieri anche grazie all’accattivante bottiglia color blu, che attira l’occhio e ispira freschezza. Assaggiato anche un Tenute di Badia Riserva del 2015, a base di Sangiovese e Canaiolo, ci attende un mini-tour nella cantina dirimpetto al bellissimo parco, che fa da cornice a questa incantevole fattoria. E qui ci viene descritta la figura del suocero novantenne di Anna Maria, Argante, colonna portante dell’azienda, e tuttora attivo in prima persona nella vendemmia a mano. Interessante la spiegazione sui metodi di affinamento usati dalla famiglia, tra l’utilizzo del cemento per il Montecarlo rosso, e delle barriques per i vini Riserva. Ma nel bel mezzo dei racconti di Anna Maria, ecco, purtroppo puntuale, la nostra navetta della linea Sauvignon; altro giro, altra corsa!

Ed eccoci traghettate fino alla Fattoria Valdrighi.  Qui ci accoglie un sommelier della Fisar che ci introduce subito a quello che, secondo me, è il pezzo forte di questa azienda vinicola: l’Oltre, Bianco IGT 2016, 70% Trebbiano, e resto Vermentino…qui una bella descrizione delle caratteristiche di questo bianco un po’ atipico ce la da il nostro sommelier, che pone l’accento sul contrasto che questo vino crea tra olfatto e gusto, dovuto alla sua macerazione sulle bucce: infatti, al naso vengo colpita da un profumo dolce e intenso che promette le note tipiche fruttate dolci di un passito, ma che in realtà tradisce subito queste facili aspettative perché rivela in bocca la sua vera natura di vino secco e sapido, che accompagna volentieri anche carni bianche come il coniglio. Passando dal Bianco Doc del 2017, che racchiude un bel connubio di Vermentino con Sauvignon Blanc, Pinot Grigio e Pinot Bianco, concludiamo con il rosso del 2016 IGT Per Clara: Merlot in purezza, rosso rubino con sentori intensi di bacche mature, ci ha dato una certa soddisfazione, quando, alla fine dell’analisi retro-olfattiva, è stato definito “pronto” all’unisono, sia da noi assaggiatrici che dal sommelier, che ci spiega che questo vino può avere ancora dei margini di evoluzione nel tempo.

E’ ora di riprendere il bus, questa volta a bordo della navetta Syrah, e scavallare la collina, perché ci aspettano altre due aziende degne di nota: Vigna del Greppo e Wandanna, immerse e nascoste nel verde delle vigne, ai piedi del borgo-gioiello. Se nella prima i due neo-sommelier della Fisar ci hanno fatto passare in rassegna sia il bianco che il rosso doc delle ultime due annate, mi piacerebbe soffermarmi meglio sulla seconda, Wandanna, dove troviamo ad attenderci il titolare Vittorio, figlio di Ivaldo, che, inizia a parlarci della sua azienda attraverso i ricordi legati alla figura del padre.

Mi sembra proprio di visualizzarlo in piedi, davanti a me, con in mano le bottiglie dei suoi rossi Virente e Nero di Taccone, che parlano anche loro attraverso le immagini stampate sul vetro. Si, perché il carattere schietto e diretto, anche  un po’ ruvido e di polso di Ivaldo che mi arriva dalle parole del figlio, è lo stesso che traspare dal suo vino, sia attraverso i riflessi del bicchiere, sia al palato. Il buco di serratura sull’etichetta del Virente IGT 2004 causa la curiosità di altri assaggiatori, e da lì partono i vari aneddoti riguardanti quello che ci avrebbe risposto Ivaldo in merito a questa immagine, al di sotto della quale campeggia il motto di ammonimento: “Imperito Palato Degustari Nolo”.. Allora, mentre spero che il mio palato sia abbastanza preparato a ciò che gravemente preannuncia la controetichetta del Virente, noto che il colore arancio del tramonto che fa capolino da quel buco di serratura è lo stesso che si riflette uguale nell’unghia del vino che osservo in trasparenza dal bicchiere.

Ora ci sono: mi faccio trasportare dalla sua carnosità, che si sprigiona dai profumi di frutta matura che, una volta in bocca, si uniscono a quelli di spezia, confermando un gran corpo, penetrante e di lunga persistenza, virente di nome e di fatto, proprio come lo sguardo del personaggio che campeggia nell’etichetta del Nero di Taccone, Pinot Nero in purezza, in nostra attesa, lì accanto. Devo dire che, quasi quasi, riesce anche a metterci un po’ di soggezione, e infatti ci affrettiamo ad assaggiarlo, attirate dalle promesse che partivano da quegli occhi neri e severi…e che conferme! Tutti i sentori di frutti di bosco e del legno che accolgono il nostro naso, esplodono successivamente in intensi aromi di fumo e tabacco, tant’è che penso che in quel momento mi manchi solo la pipa!

E’ ora di riprendere la navetta verso la prossima meta, ma non prima di aver comprato una bella bottiglia di vino frizzante rosato Clarente, anche questo di invenzione di Ivaldo, che mi attira in primis per il suo bel colore cerasuolo, e che riserva note affumicate, ampiamente apprezzate anche dalle mie compagne di corso, durante una recente serata al femminile all’insegna di degustazioni dei vini locali.

Una tappa che ha lasciato il segno: Fattoria Buonamico

Adesso cade una leggera pioggia sui vetri della Syrah che scende di nuovo tra le colline vitate, ma poco importa, perché appena arrivati all’avveniristica cantina del Buonamico, parto a briglia sciolta e perdo gli altri, come sempre.. Il mio primo obiettivo, infatti, è quello di riuscire a bere l’Inedito Particolare Premiere Cuvée, conosciuto la settimana prima a Lucca, all’Anteprima dei Vini della Costa Toscana, altro evento degno di nota e pregno di notevoli scoperte.. ma purtroppo rimango a secco, perché ci sono troppe persone in fila per le bollicine dell’inedito, che è finito da un pezzo. Mi rifugio allora sul Gran Cuvée Brut Rosè, perlage fine da cui si sprigiona un ben riuscito connubio di note mandorlate e di pasticceria, che, in seconda battuta, lasciano spazio al pompelmo rosa e all’arancia, che sfumano poi in freschi rimandi di mirto e ginepro.

Quindi, decido che la giornata sta volgendo al termine, e devo ritrovare gli altri, ma non prima di fare una sosta in bagno…e devo dire che, come sempre, dalle cose più banali e semplici, nascono inattesi e interessanti risvolti…scendendo a caso, al piano di sotto dell’azienda, mi trovo travolta da un gruppo guidato dal marito della titolare, che proprio in quel momento aveva iniziato un piccolo tour nei magnifici ambienti dell’azienda…mi aggrego, e mi ritrovo subito in un’ala della cantina ristrutturata di recente, di fronte ad attrezzature avanzate tecnologicamente, e a dei tini in cemento utilizzati per l’affinamento, di cui il marito di Adonella ne descrive le importanti funzioni di controllo della temperatura. Mentre ci parla delle caratteristiche del magazzino meccanizzato e della lavorazione dello spumante, che viene prodotto con metodo charmat, a me sembra di osservare questa modernità da dentro a una botte, dalle cui pareti si ammirano le vigne circostanti. Ed eccoci traghettati alle porte dell’Inferno! No, non sono già in preda ai fumi dell’alcol, né il marito di Adonella ha assunto le sembianze di Caronte… questo è solo il nome della storica cantina nata nel 1964, che ospita vini di tutte le annate, tra cui un Buonamico Bianco Riserva del 1979, che ho immortalato in onore del mio anno di nascita! Qui ci viene fatto un excursus sulla storia della fattoria, e del lavoro dei piccoli contadini e dei ristoratori che l’hanno portata avanti fin dagli inizi…e allora capisco meglio perché questa tenuta è riuscita ad affascinarmi nel profondo, aldilà della bellezza delle sue forme esterne un po’ futuristiche e degli ampi spazi interni moderni e colorati, a contrasto col verde della natura. La parola d’ordine è proprio questa: contrasto. Contrasto tra la cantina antica dell’Inferno, che è il cuore della tenuta, e i moderni contenitori in acciaio e cemento, destinati alla vinificazione e poi all’affinamento; contrasto tra la polvere accumulata sugli scaffali e sulle bottiglie dell’Inferno e le linee moderne, lucide e colorate che formano le sale interne ed esterne destinate alle cene e alle degustazioni; contrasto fra tradizione e innovazione, fra storia e investimento….si tratta di equilibri sempre un po’ delicati, dove la curiosità e l’esplorazione giocano un ruolo importante nella ricerca del miglioramento continuo, che si identifica sempre con sudore e fatica, unici elementi fissi di questa perenne dicotomia. Contrasto che alla fine si risolve in complementarietà. Dobbiamo di nuovo tornare a Giulio Magnani e alla sua ottocentesca importazione dei vitigni internazionali francesi, come già si è detto: grazie alla sua intraprendenza, nei vigneti lucchesi, accanto al severo Trebbiano, si affiancarono i nuovi vitigni francesi, come il Sauvignon blanc e il Merlot, insieme allo Chardonnay e al Cabernet..così, l’apertura ai viaggi e lo spirito commerciale dei lucchesi hanno integrato e ampliato, negli anni, la tipicità e il blasone della doc montecarlese che si era un po’ annebbiata, a vantaggio di una convivenza tra i vitigni autoctoni e quelli di importazione, che ha portato un nuovo adattamento, che ha portato un senso di appartenenza, che, a sua volta, adesso, è diventato tradizione. E’ questo il bello dei contrasti, il non avere definizioni e stacchi netti tra poli apparentemente opposti, in quanto la loro evoluzione è sempre in continuo movimento e trasformazione, fattori che non avrebbero avuto luogo senza la presenza del minimo comun denominatore: la passione e l’impegno dell’uomo. Particolare (proprio come lo spumante!) pensare che il nuovo di quei tempi sia ora tradizione, diventato oggi tratto tipico della viticoltura di Montecarlo, e degnamente rappresentata dal lavoro del Buonamico, sia con strumenti più tecnologici, sia con l’impiego dei vitigni semi-aromatici, portatori di maggiore eleganza e charme in vini ricercati da degustatori sempre più curiosi e internazionali.

Ultima tappa della nostra via Vinaria è la Fattoria di Gino Fuso Carmignani, che mi piace ricordare per l’estro e l’atipicità che questo produttore impiega nella creazione del suo vino, testimoniando un’impronta di produzione diversa da quella descritta nella precedente fattoria….Decisamente sopra le righe, Gino Fuso, si fa portatore della storia contadina sua e del suo territorio, ereditata dal padre, che attraverso la difesa della cultura della sua terra, ha contribuito negli anni a dare a Montecarlo un indirizzo tradizionale sulle scelte prese in ambito di difesa e valorizzazione della cultura agricola. Il fatto è che dalle etichette attaccate a mano, e dai tappi sparati con la macchinetta meccanica, si passa al suo For Duke, in omaggio al musicista jazz Duke Ellington, e sorseggiato anche da Barack Obama in occasione della sua prima elezione a presidente degli Stati Uniti nel 2008, fino al “metodo acustico” in vinificazione dell’ultima sua creatura, il Niente, vino rosso corposo, 14,5%, a base Cabernet Sauvignon. Niente perché, come dice lui, non c’è poi niente alla fine di cui parlare, niente fronzoli o elucubrazioni, solo semplicemente godere di una risata con un amico, della tua canzone preferita che adesso passa alla radio, di una passeggiata in mezzo al verde, o ancora meglio, di un bicchiere di buon vino in mano.

Ancora una volta i dualismi si risolvono, tradizione e innovazione, passato e futuro si incontrano “nel qui e nell’ora” di un bicchiere, che parla un linguaggio universale e senza età, quello della poesia, intesa nella sua mera semplicità del vivere quotidiano.

D’altronde, “ il vino è poesia imbottigliata” (Robert Louis Stevenson).

Giulia Calamida