Orange wine… vino con le arance?

Inauguriamo oggi la rubrica “Andar per Cantine”.  Ogni volta un racconto quasi un diario di bordo delle nostre personali esperienze e sensazioni vissute durante le visite in cantine più o meno conosciute. Un altro modo di vivere il vino forse più romantico e divertente. Il primo articolo che pubblichiamo è di Stefano Cappelli – nostro socio e sommelier. Buona lettura!

Non potendo fare le vacanze lunghe, una o più settimane in un luogo fascinoso e rilassante, ho convinto mia moglie ad andare a visitare due pietre abbandonate sul terreno, più comunemente chiamate “rovine romane”, e così a ferragosto ho passato tre giorni nel Collio Goriziano.

Sabato e domenica turista fai da te: Aquileia, Palmanova, Cividale, ma lunedì interamente dedicato agli “orange wine”. Era la prima volta che mi accostavo a questi vini e se da una parte ero emozionato, da l’altra non mancava il timore non sapendo cosa mi aspettava. Fisso due appuntamenti, uno al mattino e l’altro al pomeriggio.

Mi presento in orario alla prima cantina e la signora che ci accoglie ci porta subito nella vigna, nonostante la pioggia, per farci vedere la materia su cui si concentra principalmente il loro lavoro e non manca di raccontarci di annate difficili, vendemmie completamente perse, frane che distruggono parte delle vigne, cinghiali selvatici che devastano tutto al loro passaggio. Ci parla dei suoi vini che fanno tre mesi di macerazione sulle bucce. Del figlio che hanno fatto studiare e una volta terminati gli studi lo hanno preso in azienda concedendogli di fare due nuovi prodotti secondo il suo pensiero. La durezza e l’orgoglio con cui la signora ci parla mi fa apprezzare il duro lavoro di questa gente e dimenticare il timore per il vino che ero chiamato ad assaggiare.

Ma quando dopo un’ora si aprono le bottiglie il mio timore si materializza di colpo nel vino che vedo scendere nel bicchiere: un vino velato, di un colore indecifrabile. Dovrebbe essere ambrato, a me sembra più un liquido fangoso.

Assaggio il primo vino: caldo. Profumi molto chiusi, indecifrabili, anche se a occhio e croce sembrano fruttati. Passiamo al secondo vino: l’aspetto visivo non cambia. Pure l’esame ol­fattivo non cambia, anche se questa volta i profumi sembrano floreali. Il vino risulta an­cora troppo caldo anche se questi vini de­vono essere bevuti a temperature di 14-15 gradi. Eccoci al terzo vino, una ribolla gialla. Quando vedo il vino scendere nel bicchiere non so più cosa fare, come comportarmi. Ho una forte tentazione di chiudere lì la degusta­zione. Il vino ha perso ogni richiamo all’am-bra ed assomiglia decisamente all’acqua fangosa dopo un temporale. Inoltre nel bicchiere scendono dei residui, numerosi e chiaramente visibili. La signora non si scompone per niente. E’ il vino orgoglio dell’azienda, frutto del loro lavoro, della loro passione e di una scelta convinta. Bevo il primo sorso per la signora. Non voglio delu­derla. Bevo il secondo sorso sforzandomi di capire quali aromi, quali profumi possono es­sere percettibili. Ma nella mia mente non rie­sco a fare nessun abbinamento.

Ringrazio, pago ed esco. La signora mi chiede “gentilmente” se voglio acquistare qualche bottiglia. Io “gentilmente” rispondo che devo fare un lungo viaggio e non voglio sciupare il vino. Una volta in macchina non so cosa raccontare a mia moglie, nel pomeriggio ci attende una degustazione presso un’azienda che di mesi di macerazione ne fa sei! Fortunatamente la degustazione la faccio solo io. In silenzio ci mettiamo alla ricerca di un ristorante per pranzare.

Il pranzo si dilunga, così mi chiamano per la degustazione: sono in ritardo! (tanto per non smentirmi). Arrivo di corsa alla cantina. Ci accoglie una signora molto gentile e cordiale. Con ampi sorrisi inizia a farci visitare la cantina e a raccontarci la storia della sua famiglia. Una visita completamente diversa. Anche il racconto di un raccolto completamente rovinato si trasforma in qualcosa di positivo. L’annata 1996 non sarà imbottigliata ma servirà a fare studi e prove. Il risultato? Nel 2001 l’azienda si converte all’uso delle anfore in terracotta.

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Tutto perfetto? No, nel 1998 il vino messo come prova nella prima anfora ricevuta si disperde nel terreno. Ne rimane ben poco. Si erano dimenticati di chiedersi se le anfore erano impermeabilizzate. Non mancano le battute sul terreno “briaco”.

Chiediamo come mai le anfore e perché dalla Georgia. Veniamo così a conoscere di un viaggio fatto negli anni ’80 da suo padre negli USA e di come rimanga sconvolto dall’uso “allegro” che viene fatto degli aromi sintetici nella produzione del vino. Ci racconta di come in pochi anni l’azienda passi dalle va­sche in cemento ai tini in acciaio e successi­vamente alle barrique. Il tutto per rincorrere l’esigenze del mercato e dei venditori senza scrupoli che oggi vendono un prodotto per tornare dopo pochi anni a dire che quelle macchine, quelle attrezzature, sono superate, vanno cambiate tutte. Stanco di tutto questo il padre decide, dopo averci pensato (e studiato) a lungo che è il momento d’imporre una via personale, fuori dai condizionamenti di mercato. Nel 2000 inizia questa rivoluzione con il viaggio in Georgia per l’acquisto delle anfore. Non spagnole, non italiane perché queste dentro sono ceramizzate. Georgiane perché i residui di piombo e cadmio sono infinitesimali, praticamente assenti.

Naturalmente non mancano gli appellativi di “pazzo”, “folle”, ed altri aggettivi simili.

Arriviamo “velocemente” alla sala degustazione. Con sorpresa scopro che i bicchieri hanno perso il gambo, lo stelo. Ci viene spiegato che sono in vetro boro-silicato (pyrex) ed è un’altra delle scelte del padre. In onore delle coppe dove gli è stato offerto il vino in Georgia decide di affidare lo studio ad un artista-vetraio di un bicchiere che non sia piatto come le coppe georgiane e che si adatti alle degustazioni come noi europei siamo abituati.

Ne nasce un bicchiere ampio sullo stile dei bicchieri per i vini rossi, leggerissimo, con una bolla sul fondo e due incavi sull’esterno che permettono una presa sicura ed efficace, anche per i mancini. Mentre osservo questi bicchieri mi ritrovo ad osservare il primo vino: un ambrato limpido, trasparente, vivace, con dei riflessi dorati semplicemente stupendi.

Il mio stomaco si rilassa improvvisamente: posso riscattare le scelte fatte. La pace familiare è salva!

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Il vino è un blend di sauvignon, pinot grigio, chardonnay e riesling. Vendemmia 2007. Il vino è caldo ma gli aromi fruttati sono facilmente intuibili. Decifrarli è un altro discorso! Mi azzarderei in frutti molto maturi: ananas, mango, pesca, melone, frutto della passione, ma anche burro, mandorle, ribes. Nota aromatica piuttosto intensa e decisamente lunga, molto lunga. La nostra ospite ha pensato di raffreddare il vino con del ghiaccio e non mi faccio pregare all’invito a prenderne ancora. Il vino si è raffreddato, probabilmente è molto vicino alla temperatura di servizio ottimale. Trionfo del riesling!

Passiamo al secondo vino, la ribolla gialla. Sempre vendemmia 2007. L’aspetto nel bicchiere non cambia: il colore ambrato è notevole. Più che un vino sembra un brandy, un cognac. A dire il vero anche il bicchiere mi ricorda quelli da brandy. Bevo il primo sorso tutto baldanzoso, ma ahimè, mi trovo più impreparato del previsto (dato le sensazioni precedenti) a comprendere il vino.

Sicuramente siamo nello spettro dei profumi floreali. Mi viene a mente il tarassaco, ma non ho il coraggio di espormi. Con la scusa del vino un po’ più freddo mi servo per la seconda volta. Anche qui la temperatura di servizio si sta normalizzando. Credo di riconoscere il tiglio, l’acacia, ma mi sembra troppo poco. Pensavo di trovare delle note balsamiche, ma forse sono io che non le sento. Cocciuto mi servo per la terza volta, ma oramai mi sono incartato. Continuo a cercare nella mia mente ma le ultime cose a cui mi trovo a immaginare sono la frutta secca, aromi di mandorle e fichi.

Perbacco, ma non sto bevendo un passito! Mi arrendo e decido di comprare una bottiglia in ricordo di questa sbalorditiva esperienza.

Speriamo che Bacco o Dioniso mi perdonino!

Stefano Cappelli